mazzà

Abita fuori, nel luogo di un inseguimento, cerca se stessa, mostra di cercare se stessa, non si prende mai.

E’ miope del cammino, del destino, è presbite di cominciamento nuovo, di rivolta nuova.

Segna controvoglia l’appartenenza a una razza che ieri non c’era, la continuazione è ciò che fa di sé, solo di sé, non è una cosa mortale come la continuità ma è una cosa vitale come la conferma di entrambi i sé in gioco, in quello che pare a se stesso un gioco.

Il suo passo spicciolo e pesante sporca, inganna, tace il passo scaduto, il suo passo nuovo si finge passo bastardo dovuto a se stesso, che si ringrazia da solo e si combatte da solo e si riconosce proprio fratello.

Non raggiunge e non sovrappone, non progetta futuri e non si esclude dalla memoria, non cancella l’errore, fa l’errore bellissimo di correggere, si riscrive, si ridice, si ripensa, si ripiace, aggiusta l’equilibrio tagliando un piede o un colore un’intenzione.

Non possiede e non lascia in dono che un nome non veramente suo, e urla ridendo a occhi che non ascoltano: voi non vi occupate di me ma di ciò di cui mi volete segno, fine, morte, avviso.

Fa luce su un paese di mete e di macerie che gli altri non vedono.

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